AccademiaCarrara – Bergamo capitale della cultura?

“250.000”, proprio così – non è un errore – duecentocinquantamila euro!
Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse invece da piangere, a leggere la cifra (che potrebbe anche essere molto inferiore – 170.000 euro – qualora, come sembra, non si siano superati i 130.000 biglietti), ottenuta dal più importante museo della nostra città, l’Accademia Carrara, in cambio di un sostanziosissimo prestito di 54 opere non propriamente marginali (Pisanello, Raffaello, Mantegna, Bellini, Tiziano, Lotto, Palma il Vecchio, Rubens, Bellotto, Hayez, Piccio, Pellizza da Volpedo …).
Tutte opere preziose di cui la pinacoteca si è privata – privandone i propri visitatori – dal mese di luglio, destinazione il Bund One Art Museum di Shanghai, per un prestito che la stessa Carrara così definisce:
«Un evento eccezionale, il primo grande appuntamento culturale che torna a fare dialogare Italia e Cina dopo la pandemia e che ha richiesto grande determinazione nel portare a compimento un’organizzazione tanto complessa».
Ora che le opere ritorneranno finalmente al loro posto, il museo resterà chiuso per una settimana, dal 24 gennaio al 1 febbraio, per procedere alla loro ricollocazione.

Siamo sinceramente allibiti di fronte alle scelte, sempre meno comprensibili, operate dalla fondazione privata che vede socio promotore il Comune e presidente del CdA il Sindaco di Bergamo.
Fondazione la cui “sfida” dichiarata, leggiamo sul sito, è:
«la volontà di affidare la gestione di un patrimonio pubblico, di immenso valore, ad una governance con spiccata vocazione privatistica. È il desiderio di far convivere, in modo equilibrato, politiche di conservazione e di valorizzazione. Di puntare ad una gestione virtuosa fatta di progettazione culturale, approfondimento scientifico, tutela, MARKETING, comunicazione e sviluppo museale. Tutto attraverso una gestione manageriale oculata e attenta ai dati di bilancio».
Scelte che, sempre nelle dichiarazioni della fondazione, dovrebbero anche garantire la “fruizione delle generazioni contemporanee e, certamente, delle future”.

A proposito di generazioni future, vorremmo ricordare al Comune e alla Fondazione che la misera cifra ottenuta a fronte dell’impoverimento del nostro museo per mesi, lo è anche a fronte del pericolo di danneggiamento (o anche perdita irreparabile), un rischio reale a cui sono esposte le opere ogni qualvolta esse vengono spostate.
E qualsiasi cifra di risarcimento assicurativo mai potrebbe ripagare il danno culturale derivante dal verificarsi di una tale eventualità.
È per questo, oltre all’assurdità della logica contorta di privarsi di opere altamente rappresentative e identitarie del museo, che riteniamo che i prestiti andrebbero fatti con grande oculatezza dopo un’attenta valutazione del reale valore culturale dell’operazione, la quale dovrebbe essere capace di generare un valore di comprensione e conoscenza non
raggiungibile altrimenti.

MA PER COSA SONO STATE PRESTATE LE 54 OPERE DELLA CARRARA?
Per una mostra a nostro avviso culturalmente poco rilevante, un pot-pourri dal titolo “Maestri. Dal Rinascimento all’Ottocento”, che appare decisa non tanto in base ad un vero progetto culturale, quanto piuttosto pubblicitario, realizzata in collaborazione con un’azienda “leader a livello nazionale nella produzione, organizzazione e realizzazione di esposizioni”, specializzata nella creazione di “eventi d’arte” e che si vanta di un “acuto senso degli affari”.
Il tutto avviene nell’era di internet, dei media, della multimedialità, quando ci potrebbero essere modalità meno rischiose e più appropriate per far conoscere il museo e i suoi capolavori al mondo, se lo scopo finale è quello di incuriosire potenziali visitatori e portarli a vedere le opere nella loro sede naturale.

Provocatoriamente riproponiamo una frase di Federico Zeri, il grande storico dell’arte e critico, estimatore della Carrara tanto da donarle 46 sculture della propria collezione personale:
«Le mostre sono come la merda: fanno bene a chi le fa, non a chi le guarda».

Nel caso in questione, dato che non vediamo nemmeno alcun vantaggio reale a giustificazione per la pinacoteca, ci chiediamo: CUI PRODEST?

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